Il Marco Polo si racconta

    Il Marco Polo si racconta

    Un tuffo nel passato

    Qualche giorno fa ho preso una vecchia scatola, una di quelle che si infila sotto il letto perché contiene cose inutili o che nascondi in una cantina per fare spazio.
    L'ho ritrovata per caso, mentre riordinavo.
    Dentro c'era di tutto: dal diario di Violetta al mio primo peluche. Riprendere in mano quegli oggetti mi ha fatto tornare indietro.
    Mi sono sentita trasportare via: una mano mi ha afferrato il polso e mi ha riportato nel passato, a quei pochi momenti che ricordo. Mi ha stretto di più, per evitare di farmi scappare, poi, insieme all'altra mano, mi hanno tappato gli occhi. Tutto si è trasformato: sentivo il pavimento sotto di me spostarsi ed al suo posto compariva il tappeto sonoro che avevo da bambina. Il piccolo pinguino peluche si fa più grande e io mi rimpicciolisco. È stata una magia: gli oggetti intorno a me erano cresciuti in altezza ed il soffitto sembrava più distante. Ero tornata nei panni di quella bambina con grandi occhi azzurri, il ciuccio in bocca e il peluche al suo fianco.
    La nonna mi guardava dal divano e mi sorrideva, con gli occhiali un po' storti e il solito maglione.
    Con grande sforzo, l'ho vista avvicinare la sua mano e, gentilmente, con quel suo tocco, mi accarezza la testa. E anche se all'improvviso tutto sparisce, lei rimane lì: io comincio a crescere, cambio occhiali, taglio di capelli, vestiti. Cambio tutto, il mio corpo cresce troppo in fretta. Ritorno a come sono ora, ma la sua mano resta lì. Il peluche rimane al mio fianco e lei, col suo sorriso, mi tira una guancia.
    Mi accarezza gentilmente, mentre il divano si trasforma in una sedia a rotelle.
    Sorride ancora quando allontana la sua mano.
    E sorride ancora quando mi saluta, sventolando l'unico braccio che può muovere.
    Il suo sorriso luminoso è l'ultima cosa a sparire, diventando sempre più trasparente.
    Quando riapro gli occhi, la sensazione che lei fosse stata veramente lì al mio fianco, era più forte che mai.

    Alice Maestrini, 4H