Il Marco Polo si racconta

    Il Marco Polo si racconta

    La campana di vetro

    Ethan, un normalissimo ragazzo di 15 anni con una ristrettissima cerchia di amicizie che il più delle volte non lo chiama per uscire, perciò trascorre la maggior parte del tempo libero per conto suo, escluso da tutti.
    Eppure, non erano lontani i giorni in cui era circondato da amici e non si perdeva neanche un secondo per stare con loro. Poi tutto iniziò a cambiare a poco a poco. Gli stessi amici iniziarono a deriderlo per il suo aspetto… e si rese conto di essere un pochino fuori forma, un po' grassottello. All’età di quindici anni era vittima di bullismo. Risatine, esclusioni dalla formazione delle squadre di calcio al campetto, rassegnato ad essere sempre l’ultima scelta. Pensava che avrebbero smesso di lì a poco di umiliarlo, erano ragazzini come lui, non capivano, gli mancava la sensibilità giusta… erano le sue rassicurazioni. Ma più il tempo passava e più le offese si ingigantivano e si ripetevano. “Sei un ciccione, vedi di fare un po’ di palestra”, “Guardati, nessuna ti si filerà mai”, “Mangia meno”.
    Devo dimagrire! Questo si ripeteva nella testa e iniziò a farlo, a modo suo; in un avvicendarsi di nottate fatte di pianti e vomiti. I risultati erano scarsi, il senso di sconfitta onnipresente e la depressione cominciarono a palesarsi; tutto intorno a lui si dipingeva di quel nero cupo, triste, senza via di uscita. Arrivarono anche gli attacchi di panico e le sedute dallo psicologo, le quali però non lo aiutarono più di tanto. La sua timidezza, la sua voglia di scomparire, lo inducevano a non aprirsi neanche con lo psicologo, arrivando a volte a raccontargli balle.
    Era arrivato alla conclusione che per lui non c’era soluzione, non riusciva a scrollarsi di dosso tutte le offese ricevute, si sentiva rinchiuso in una sorta di campana di vetro che lo avrebbe protetto da tutto quel male, ma allo stesso tempo lo intrappolava impedendogli di farsi ascoltare e capire. Poteva gridare ma non veniva ascoltato. Quella campana di vetro era sempre più stringente, soffocante. Ethan stava scomparendo lì dentro. La famiglia era l’unica a stargli accanto, ma ciò non bastava.
    Basta! Tutto ciò non era più sopportabile e arrivò il giorno in cui Ethan si ritrovò seduto sulla spalletta del ponte vicino a casa e vedeva scorrere il fiume sotto i suoi piedi… dai Ethan… è un attimo e tutto finirà... dai… almeno in questo mettici coraggio… dai. Poi si sentì afferrare per le spalle da un gruppo di ragazzi che lo strattonarono, increduli ai loro occhi. Lo tirarono indietro con forza. Smarrimento. Paura. Sconfitta. Umiliazione.
    Il gesto di Ethan sensibilizzò la sua cerchia di amicizie sul suo malessere e proprio quei ragazzini che lo avevano salvato lo aiutarono ad uscire a poco a poco dalla campana di vetro fino a farla diventare solo un brutto ricordo.
    Ethan era riuscito a capire che la vita è una sola e che mai la si deve buttare via per il giudizio di altre persone. Aveva capito l’accettazione di sé stesso.
    Ci sono tanti Ethan attorno a noi e spesso facciamo finta di non vederli, troppo impegnativo stargli accanto… ma ci scordiamo che basta davvero poco per infrangere il vetro della loro campana.

    (Mirco Nelli, 3D)